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Il percorso ideologico e politico di Pasolini.
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1960: crisi del governo Tambroni.
La
politica interna è segnata da una grave crisi tra il giugno e il luglio del
1960: Fernando Tambroni, democristiano, forma un governo sostenuto dal Msi. È il
preludio di un colpo di stato di destra nel Paese.
Il 28 giugno '60 si tiene a Genova una grande manifestazione popolare
antifascista; il 30 si verificano scontri tra il corteo cittadino e la polizia,
e negli incidenti rimangono feriti 83 manifestanti.
La proposta antifascista si espande in altre città e il governo Tambroni opta
per la linea dura nel fronteggiare e reprimere il dilagare delle manifestazioni
di piazza.
Il 6 luglio 1960 nella capitale, a Porta San Paolo, le forze dell’ordine
reprimono con violenza un corteo antifascista, ferendo alcuni deputati
socialisti e comunisti. I fatti più gravi avvengono a Reggio Emilia nel corso di
una delle manifestazioni seguite ai fatti di Roma in cui la polizia uccide
cinque manifestanti comunisti: Ovidio Franchi, Lauro Farioli, Emilio Reverberi,
Marino Serri, Afro Tondelli.
La Cgil proclama, da sola, uno sciopero generale. La tensione sociopolitica
sorta a Genova e diffusa nel paese porterà alle dimissioni di Tambroni il 19
luglio 1960.
Le vicende private e giudiziarie di Pasolini si
intrecciano in questi anni inscindibilmente con quelle politiche. Pasolini,
dichiaratamente elettore del PCI, ma non iscritto al partito, è considerato un
letterato scomodo dallo stesso PCI a causa della sua omosessualità.
Così scrive una nota dell'agenzia Fert il 14 luglio 1960:
"La Fert apprende che l'on. Togliatti ha rivolto ai dirigenti dei settori
culturali e stampa del partito l'invito ad andare cauti con il considerare
Pasolini un fiancheggiatore del partito e nel prenderne le difese. L'iniziativa
di Togliatti che riscontra molte contrarietà, parte da due considerazioni.
Togliatti non ritiene, a suo giudizio personale, Pasolini un grande scrittore,
ed anzi il suo giudizio in proposito è piuttosto duro. Infine, egli giudica una
cattiva propaganda per il PCI, specialmente per la base, il considerare Pasolini
un comunista, dopo che l'attenzione del pubblico, più che sui romanzi dello
scrittore, è polarizzata su talune scabrose situazioni in cui egli si è venuto a
trovare fino a provocare l'intervento del magistrato (...) I difensori del
reprobo in seno al PCI sono tuttavia parecchi, e sembra che gli stessi deputati
Alicata e Ingrao siano del parere di conservare Pasolini al PCI".
.
La croce uncinata
Da molte notti,
ogni notte,
passo sotto questo tempio, tardi,
nel silenzio dell'aria
del Tevere, tra rovine scomposte.
Non c'è più intorno nessuno, allo
scirocco
che spira e cade, fioco tra le pietre:
forse ancora una donna, laggiù, e
dietro
il bar di Ponte Garibaldi, due tre
poveri
ladri, in cerca di dormire, chissà dove.
Ma qui, nessuno:
passo veloce,
rotto da una notte tutta ansia e amore:
non ho più niente nel cuore
e non ho più sguardo negli occhi.
Eppure, quest'immagine, col passare
delle notti,
si fa sempre più grande, più vicina:
ecco lo spigolo, liberty, contro la
turchina
distesa del Tevere: ed ecco i
poliziotti
che piantonano il tempio, tozzi e
assorti.
Li vedo appena, coi loro cappotti
grigiastri, contro un albero secco,
contro i bui scorci del ghetto:
e colgo una breve luce, negli occhi
umiliati dal loro goffo sonno di
giovinotti:
una accecata stanchezza che vede nemici
in ognuno, un veleno di dolori antichi,
un odio di servi: restano indietro,
soli come lo scirocco che vortica tra le
pietre.
Una vergogna,
triste come la notte
che regna su Roma, regna sul mondo.
Il cuore non vi resiste: risponde
con una lacrima, che subito ringhiotte.
Troppe lacrime, ancora non piante,
lottano,
oltre questi umilianti quindici anni,
dentro le nostre dimentiche anime:
il dolore è ormai troppo simile al
rancore,
neanche la sua purezza ci consola.
Troppe lacrime: a
coloro che verranno
al mondo, per molto tempo ancora
questa vergogna farà arido il cuore.
Aprile
1960.
“Sotto
questa poesia, ho voluto apporre, ben chiara e circostanziata, la data – aprile
1960 –: cosa che di solito non faccio mai: anche perché le mie poesie restano in
laboratorio tanto tempo, che in realtà finiscono con l'essere scritte e
riscritte varie volte, e la loro data di solito abbraccia un'annata o due di
lavoro. […] In questo caso la data l'ho messa bene in vista solo per dare alla
poesia una giustificazione politica: volevo cioè ricordare al lettore che aprile
non è luglio, che la formazione del governo Tambroni non è la cacciata del
governo Tambroni, e che la spocchia dei neofascisti non è la sconfitta dei
neofascisti. L'indignazione politica contenuta in questi versi può sembrare un
poco pessimista e dolorosa: ma lo credo! Niente, in quel momento in cui li ho
scritti – lo scorso aprile – autorizzava ad avere una specifica: la speranza di
un sollievo immediato almeno dalla vergogna del "revival" fascista. Se
riscrivessi ora sullo stesso argomento non potrei non tenere conto, certamente,
del significato di questa estate politica: del fatto cioè che quella mia
indignazione, che io credevo ristretta a pochi memori, è invece condivisa da una
grande maggioranza di italiani, tra cui soprattutto, i giovani: quelli di
Genova, quelli di Reggio, quelli di Roma, quelli di Palermo. Ciò non significa
che mi abbandonerei a un facile ottimismo: questo mai. Né credo potrei mai
cancellare in me l'impressione che quello che hanno fatto i fascisti e i nazisti
nel mondo è stato così disumano, da presentarsi come una piaga di non facile
guarigione nel corpo dell'intera umanità. […]”
[Pasolini in “Vie Nuove”, Roma, 29 ottobre 1960]
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