Gli Scritti

Il percorso ideologico e politico di Pasolini attraverso le sue opere:

 

3-  "Vie Nuove" : evoluzione del capitalismo e conseguenze sul marxismo.

Maria Antonietta Macciocchi, direttrice di "Vie Nuove", offrì a Pasolini, dal maggio 1960, una collaborazione con la rivista. Dice del poeta: "Pasolini era l'intellettuale più dolce, più delicato, più disponibile che avessi conosciuto. Era più facile 'dirigere' lui che il redattore più qualificato con la tessera del Pci. Oltre la rubrica personale, scriveva gli articoli che gli chiedevo sui soggetti più disparati […]". I lettori di “Vie Nuove”, di estrazione sociale e culturale disparate, pongono a Pasolini domande su molti e diversi argomenti: diventa in tal modo per loro amico e confidente, oltre che scrittore, regista cinematografico, filosofo e politico. Pasolini in queste pagine parla tra l'altro della genesi dei propri processi creativi e di alcune esperienze della propria vita, oltre a riprendere alcuni temi essenziali delle proprie opere poetiche e letterarie quali quelli riguardanti il sottoproletariato, la sessualità, le culture subalterne.
Pasolini, attraverso questi “dialoghi” considera, inoltre, come si è accennato, le posizioni del Pci, e la crisi che in quegli anni, a partire dai fatti avvenuti in Ungheria, avvolge il partito, che è anche quello al quale egli ha rivolto per tutta la vita la propria attenzione; infine, “avanza quella visione - tra disperazione e lucida analisi, scoramento e rivolta - di una società borghese tanto più immutabile quanto più impegnata a 'rinnovare se stessa', di una 'normalizzazione' conformista e prevaricatrice nei confronti di ogni 'diversità' privata o collettiva, di un 'universo' capitalistico vincente contro una opposizione vana o ripiegata, di un futuro 'inferno' del potere e del consumo (la 'Nuova Preistoria'), della stupidità e del 'nuovo fascismo', dell'adulterazione e distruzione feroce di ogni valore passato […]; quella visione cioè che lo accompagnerà fino alla morte” .
La Macciocchi scrive a Pasolini il 4 agosto: "Le invio il disco di 'Vie Nuove' sui fatti di Reggio Emilia, e la lettera di un lettore che si riferisce ad essi […] Io ebbi a Reggio Emilia questo nastro da un commesso di un negozio di tessuti, che si era portato là il registratore per registrare il comizio; e, invece, finì con il registrare l'agghiacciante sparatoria che lei udrà, non una guerra, ma una fredda carneficina". Pasolini rispose al lettore, nella rubrica, su "Vie Nuove": 

"I critici stilistici dicono che ogni opera ha la sua "integrazione figurale": ossia ogni opera, nell'atto di essere scritta o letta, brano per brano, pagina per pagina, parola per parola, si integra in una sua totalità immanente ad essa, in una sua ideale conclusione che le dà continuamente senso e unità. Così – per questo disco – è atroce dirlo – la integrazione figurale, che gli dà quasi una dignità estetica, è la morte dei giovani lavoratori di Reggio, è la calcolata brutalità della polizia […] Quello che colpisce soprattutto […] è la freddezza organizzata e quasi meccanica con cui la polizia ha sparato: i colpi si succedono ai colpi, le raffiche alle raffiche, senza che niente le possa arrestare, come un gioco, quasi con la voluttà distratta di un divertimento […]


 

Sulle pagine di "Vie Nuove" si inserisce la polemica con Salinari, considerato la voce ufficiale del Pci in ambito letterario. Con estrema semplicità Pasolini esplica sulle pagine del giornale il proprio marxismo e quella "contraddizione" tra l'essere con Gramsci o nelle "buie viscere" che segna un momento sostanziale della sua poetica. Così scrive Pasolini in un articolo del 3 maggio 1962 intitolato "Cultura contro nevrosi" :
"Essere marxisti, oggi, in un paese borghese, significa essere ancora in parte borghesi. Finchè i marxisti non si renderanno conto di questo, non potranno mai essere del tutto sinceri con se stessi. La loro infanzia, la loro formazione, le loro condizioni di vita, il loro rapporti con la società, sono ancora oggettivamente borghesi. La loro 'esistenza' è borghese, anche se la loro coscienza è marxista".

L’ ammissione del marxismo procede alla pari con la precisa designazione dei fattori di crisi del movimento, che è soprattutto una problematica riguardante i partiti di ispirazione marxista (da un articolo su "Vie Nuove" del 15 luglio 1965 intitolato "Due crisi"): 
"Quello del capitalismo è un violento sviluppo, che, come dicevo in altre lettere precedenti, si presenta addirittura, al limite, come 'rivoluzione interna', che viene a modificare addirittura certe strutture del capitalismo classico: c'è per esempio nei paesi capitalistici molto evoluti un superamento delle strutture familiari e confessionali. La crisi del marxismo è proprio dovuta a questo sviluppo in qualche modo rivoluzionario del neo-capitalismo. [....] 
Il bersaglio contro cui il marxismo ha sparato, metaforicamente e realmente, in tutti questi decenni, sta cambiando, pone delle alternative in certo modo impreviste. Di qui la crisi dei partiti marxisti. Di qui la necessità di prenderne coscienza, fin che il marxismo resta la vera grande alternativa dell'umanità".

Da alcuni versi del poemetto Una disperata vitalita', tratto da Poesia in forma di rosa

"Secondo lei allora - fa, reticente, 
mordicchiando la biro - qual è 
la funzione del marxista?" E si accinge a notare. 

"Con... delicatezza da batteriologo... direi [balbetto, 
preso da impeti di morte] 
spostare masse di eserciti napoleonici, staliniani... 
con miliardi di annessi... 
in modo che... 
la massa che si dice conservatrice 
[del passato] lo perda: 
la massa rivoluzionaria, lo acquisti 
riedificandolo nell'atto di vincerlo... 
E' per l'istinto di Conservazione 
che sono comunista! 
Uno spostamento 
da cui dipende vita e morte: nei secoli dei secoli. 

Farlo pian piano, come quando 
un capitano del genio svita 
la sicura di una bomba inesplosa, e, 
per un attimo, può restare al mondo 
(coi suoi moderni caseggiati, intorno, al sole) 
o esserne cancellato per sempre: 

una sproporzione inconcepibile 
tra i due corni! 
Uno spostamento 
da fare piano piano, tirando il collo, 
chinandosi, raggricciandosi sul ventre, 
mordendosi le labbra o stringendo gli occhi 
come un giocatore di bocce 
che, dimenandosi, cerca di dominare 
il corso del suo tiro, di rettificarlo 
verso una soluzione 
che imposterà la vita nei secoli"

Il marxismo di Pasolini non è, come del resto l'intera sua produzione, immune dalle critiche che Alberto Asor Rosa articola nel suo saggio "Scrittori e popolo, il populismo nella letteratura italiana contemporanea" edito da Einaudi: 

"Il marxismo di Pasolini è, ad esempio, quanto di più curioso ed artefatto si sia potuto incontrare in questo campo, negli anni ancora molto a noi vicini del progressismo letterario. D'altra parte non c'è dubbio che lo scrittore abbia preteso ad una qualificazione ideologica di questo genere, se, concludendo le risposte ad una intervista del 1959 - lo stesso anno di Una vita violenta - lo scrittore quasi divertito afferma: "[...] io credo soltanto nel romanzo 'storico' e 'nazionale', nel senso di 'oggettivo' e 'tipico'. Non vedo come possano esisterne d'altro genere, dato che 'destini e vicende puramente individuali e fuori dal tempo storico' per me non esistono: che marxista sarei?": dove terminologia di tipo gramsciano e riferimenti di tipo lukacsiano si confondono insieme in un facile e sorprendentemente futile coacervo. La stessa disinvoltura è reperibile del resto in quei luoghi in cui Pasolini passa a delineare il contenuto di un esperimento letterario collegato a questa sua recente ma appassionata fede socialista. Si constata allora che il marxismo è per lui tutto ciò che non è possibile definire come irrazionale o decadente: "[...] del 'realismo socialista' come formula ancora ideale, da precisarsi nella teoria, da realizzarsi - penso che sia l'unica possibile ipotesi di lavoro. Per una ragione molto semplice: il socialismo è l'unico metodo di sonoscenza [sic] che consenta di porsi in un rapporto oggettivo e razionale col mondo".  La verità è che, di tutte le possibili varianti marxiste, Pasolini ha colto, magari attraverso la mediazione degli interpreti ufficiali comunisti, unicamente il tema gramsciano del nazional-popolare, che è infatti il solo a contare qualcosa nella sua opera narrativa".

 

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