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"Una Vita Violenta": critiche contrastanti.
Italo Calvino
scrisse a Pasolini dopo la pubblicazione di Una vita violenta,
nel 1956,
sottolineando la tensione delle vite
individuali, “l’arco che fanno le vite, il senso che viene a crearsi
dall’insensatezza dei gesti uno dopo l’altro”. Per lui il personaggio
centrale corrisponde al centro vuoto che si muove nelle opere della
letteratura moderna, anche se non gli piace la storia del “bravo ragazzo”
che sembra voler accontentare “il dolciastro comunista che è il contrario
della morale comunista vera”. Su “Rinascita”, rivista del PCI, il senatore
Mario Montagnana, cognato di Togliatti, indirizzerà una lettera al
direttore: "Pasolini riserva le volgarità e le oscenità, le parolacce al
mondo della povera gente. […] Si ha la sensazione che Pasolini non ami la
povera gente, disprezzi in genere gli abitanti delle borgate romane e, ancor
più, disprezzi (non trovo altra parola) il nostro partito. […] Non è forse
abbastanza per farti indignare?".
Nel numero successivo di "Rinascita", la risposta arrivò da un altro
esponente comunista, Edoardo D'Onofrio: "Io credo che uno dei motivi che
spinge alcuni nostri compagni a non valutare giustamente il romanzo Una
vita violenta di Pasolini dipenda in gran parte dal fatto che essi non
conoscono l'importanza politica e sociale della presenza a Roma di un
numeroso sottoproletariato. […] Pasolini non nasconde la verità per carità
di partito; dice le cose così come furono; né pretende che un momento dello
sviluppo del partito nelle borgate sia lo sviluppo stesso o il risultato
dello sviluppo".
Pasolini fu nuovamente attaccato da
parte comunista quando, nel dicembre 1961, pubblicò sull'"Avanti!" la poesia
Nenni:
[…]
Dal quarantotto siamo
all'opposizione:
dodici anni di una vita: da Lei
tutta dedicata a questa lotta – da
me,
in gran parte, seppure in privato
[…]
Se non possiamo realizzare tutto,
non sarà
giusto accontentarsi a realizzare
poco?
La lotta senza vittoria
inaridisce.
(Una lettera,
di solito, ha uno scopo.
Questa che io Le scrivo non ne ha.
Chiude con tre interrogativi ed una
clausola.
Ma se fosse qui confermata la
necessità
di qualche ambiguità della Sua
lotta,
la sua complicazione ed il suo
rischio,
sarei contento di avergliela
scritta.
Senza ombre la vittoria non dà
luce.)
1960
(P.P. Pasolini, Bestemmia, Poesie
disperse,
Garzanti, Milano 1993)
La
poesia venne inviata al giornale con una "lettera" accompagnatoria in cui il
poeta diceva tra l'altro: "[…] ho scritto questi versi proprio un anno fa in
questi giorni. Li ho sempre tenuti, come si dice, nel cassetto, perché me ne
vergognavo […] Avevo paura che questa 'lettera a Nenni' suonasse come una
rinuncia a certe mie posizioni estreme, le uniche in cui posso vivere. E
infatti, alla base dell'ispirazione di quei versi, c'era un profondo
scoraggiamento […] L'importante è che lo scoraggiamento duri lo spazio di
una poesia…"
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