Poiché il concentramento nei Ghetti avveniva con minimo preavviso gli ebrei si trovavano nell'impossibilità di trasportare con se la maggior parte dei loro averi o di venderli. Questi beni venivano considerati "abbandonati" e quindi confiscati. Naturalmente i beni immobili (come le aziende) erano le prime ad essere confiscate. Era facilissimo confiscare, molto più difficile poi ridistribuire questi beni. Tutti volevano la loro fetta ed accampavano diritti sul bottino. Ad essere estremamente interessato era Himmler che voleva per le SS il controllo delle più importanti aziende, poi vi era Göring con il suo "Piano dei Quattro Anni", poi gli imprenditori tedeschi, senza dimenticare i "tedeschi etnici" cioè tutti coloro che erano stati fatti sfollare dai territori sovietici e che dovevano essere reinsediati. Per fare un esempio dell'imponenza e della rapidità delle confisce basti pensare che solo nel Governatorato Generale vennero confiscate 112.000 imprese ebraiche e di queste ne vennero tenute in vita soltanto 3.000. Anche le case che erano state di proprietà degli ebrei furono un affare: i tedeschi, nuovi padroni, le affittavano traendone discreti guadagni. Tuttavia alla fine del processo di confisca i tedeschi si accorsero di aver sovrastimato le ricchezze ebraiche. Gli ebrei di Polonia erano mediamente assai più poveri di quelli di Germania. Ma il pregiudizio radicato fece pensare ai nazisti che in qualche modo gli ebrei fossero riusciti a sottrarre i loro beni preziosi prima di entrare nel ghetto. Così la confisca continuò anche dopo la ghettizzazione. A intervalli più o meno regolari si pretesero consegne di pellicce, gioielli, beni artistici. Unità della polizia e delle SS stabilite all'interno dei ghetti procedevano ad operazioni di ricerca. Mai i tedeschi si convinsero, neppure dinanzi agli ebrei che morivano di fame per le strade, che non c'era più nulla da rubare.