> TESTIMONIANZE
“Sentivo dei tonfi sordi, come un corpo morto che cade su qualcosa di vuoto. E poi…<Mamma. Mamma!>. In tutte le lingue.” [testimonianza_9]
“Mai sentito parlare dei musulmani? Durante l’<Appelplatz>, l’appello, facevano le selezioni con la gente più invalida, all’ultimo stadio, che stava per morire. Cadaveri viventi, scheletri, larve umane. Erano chiamati così perché ciondolavano in avanti, stavano appena in piedi, un po’ come i musulmani quando pregano. Tante volte osservavo come questi cortei affrontavano il viaggio per il crematorio. Da ragazzo avevo visto dei buoi, dei manzi che portavano al macello. Persino i manzi sentivano, si rendevano conto che andavano al macello. Bene, i <musulmani> non avevano più neanche questo. Nessuna reazione. Si reggevano gli uni con gli altri. Il loro destino era la rassegnazione totale. Ma quella volta non mi toccava il cuore o la coscienza come mi tocca adesso. Ero vicino a loro, forse poco diverso.” [testimonianza_10]
“Quando xe scirocco e nò tira vento el fumo entra anche nele cele, per la spuza de carne umana brasada quasi non se respira, te ciapa el stomigo.” [testimonianza_11]
“Ne ammazzavano ogni notte qualcuno. Li portavano nel cortile e poi li ammazzavano con un colpo alla nuca. Dopo ogni sparo i cani urlano. Li uccidevano nel garage. La porta di accesso al forno crematorio era mascherata da un mobile da cucina.” [testimonianza_12]
“Nell’ottobre del ’44 arrivo un trasporto di ebrei da Venezia ed ebbi modo di abboccarmi con tre fratelli di quella città. Si chiamavano Sereni Ugo, Paolo ed Elena, erano figli di un matrimonio misto, padre ebreo e madre cattolica. La signora non apparteneva per nascita a famiglia ebraica, perciò le dissero che era libera di andarsene. I figli la salutarono, lei uscì ma, fatti pochi passi, ritornò indietro dicendo che non se la sentiva di lasciarli. Rimasero al secondo piano, nello stanzone dedicato ai non ebrei. Nel gennaio del ’45 i ragazzi furono mandati in Germania mentre la madre rimase lì. Dopo qualche tempo lei mi disse che le avevano detto di prepararsi perché tra qualche ora sarebbe uscita. Ci salutammo. Ancora una volta varcò il fatale cancello. Dopo un’ora circa la vidi rientrare nello stanzone e alle mie osservazioni stupite rispose così:<L’ufficiale tedesco mi ha reso la borsetta con i documenti, ma io ho detto che al momento dell’arresto avevo nella borsa 30.000 lire che non ci sono più. L’ufficiale mi ha risposto di tornare nello stanzone, lui cercava il suo incartamento dove senz’altro reperirà queste 30.000lire; mi libera domani. Il mattino dopo i suoi abiti si trovavano nel magazzino.” [testimonianza_13]
“Io sono tornato a casa sperando di trovare la mia fidanzata. Ho saputo che era stata bruciata nella Risiera. Si chiamava Luigia Cataruzzi.” [testimonianza_14]