VENTENNIO FASCISTA

Il 'ventennio fascista' rappresenta nella Venezia Giulia un momento di forti contrasti tra le popolazioni di origine slava e quella italiana. L'incendio della casa della cultura slovena Balkan, del 13 luglio 1920 è il primo segno della violenza nazionalistica del locale "fascismo di frontiera". Negli anni Venti si organizzarono movimenti e gruppi clandestini croati e sloveni, i quali operarono attivamente contro il regime, che aveva assunto dei durissimi provvedimenti contro queste popolazioni.

Nell'aprile del 1941 la Germania e Italia dichiarano guerra alla Jugoslavia.

Fin dall'inizio del conflitto, il movimento di liberazione jugoslavo opera all'interno del territorio italiano. Nel 1942 viene istituito l'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza, che ha il compito di reprimere l'azione partigiana locale con torture peggiori di quelle praticate dalle stesse SS.

Giuseppe Gueli direttore dell'ISPS, e Gaetano Collotti rappresenteranno il collaborazionismo più feroce con i nazisti. Vengono condotte da italiani numerose operazioni di intervento sulla popolazione civile sospettata di collaborare, aiutare i partigiani croati e sloveni.

ll regime chiudeva le scuole slovene, proibiva la parlata slovena e croata negli uffici, nei tribunali, italianizzava forzatamente i nomi di origine slava; assumeva insomma provvedimenti drastici e durissimi contro le popolazioni slovene e croate locali.

Contestualmente alla nascita dell'ISP, però, i partigiani croati liberano  il Monte Maggiore in Istria, dimostrazione questa, di come le popolazioni locali appoggiassero i "ribelli".

In questo stesso periodo, il fascismo organizza campi di internamento per sloveni e croati sparsi sul territorio nazionale: San Sabba (Trieste), Monito (Treviso), Chiesanuova (Padova); Renicci (Arezzo), Colfiorito (Perugia), Fraschette Alatri (Frosinone) ecc.

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