“Mi avvicinai alla finestra: nella strada regnava la calma. Il viavai pedonale era normale, anzi persino un po’ meno frenetico del solito. [...] In strada un tram proveniente dal Politecnico si arrestò alla fermata. Era pressoché vuoto. Ne scesero […] tre uomini giovani che tenevano in mano degli oggetti oblunghi avvolti in fogli di giornale. Si fermarono accanto alla prima vettura del tram. Uno di loro diede un’occhiata all’orologio poi si guardò attorno, a un tratto si mise in ginocchio nella strada e appoggiò l’involto che teneva sulla spalla, una serie di colpi d’arma da fuoco si susseguirono veloci. […] Questa volta Helena Levicka aveva visto giusto: la rivolta era iniziata”.
In tutta la città infatti presero ad udirsi spari ed esplosioni, le colonne tedesche marciavano in assetto da guerra sulle strade. Intanto le fiamme si alzavano ovunque nella città. Szpilman era uno spettatore impotente della rivolta. Non poteva uscire dall’appartamento era stato chiuso a chiave da Helena dall’esterno e se anche avesse potuto uscire non possedeva armi. Continuava ad osservare dalla finestra il susseguirsi degli eventi fino a che non si addormentò di colpo, ancora vestito.
Il giorno seguente arrivò nell’appartamento di Szpilman un’amica della signora Lewicka che gli portò cibo e notizie. “Le notizie riguardanti il nostro quartiere non erano buone: quasi fin dall’inizio era stato in mano dei tedeschi e quando era iniziata la rivolta i giovani appartenenti alle associazioni della Resistenza avevano appena avuto il tempo di attraversare il centro della città.”
Intanto i giorni passavano e Wladislaw rimaneva nascosto da tutto e da tutti, tranne da quel piccolo manipolo di amici che lo avevano salvato. “Non riuscivo a decidermi a lasciare la mai stanza, rendendo nota la mia presenza alle altre persone che abitavano li”. Essere a conoscenza di un “non ariano” nel palazzo e non averlo denunciato voleva dire essere severamente puniti, anche con la morte.
I giorni passarono, era il 12 agosto, quando il palazzo sede del nascondiglio di Szpilman precipitò in uno stato di profonda tensione. Wladislaw corse alla finestra e vide un cordone di SS che circondava l’intero edificio. La costruzione doveva essere sgombrata in fretta perché l’artiglieria si accingeva a raderla al suolo. I tedeschi entrarono nelle scale dell’edificio. Wladislaw poté uscire dalla sua stanza e arrampicarsi nella scaletta che conduceva al solaio.
“Nel frattempo i tedeschi stavano già martellando con i calci dei fucili le porte degli appartamenti del terzo piano. Uno di loro salì al quarto piano ed entrò nella mia stanza. I suoi compagni, pensando che fosse pericoloso indugiare nell’edificio cominciarono a chiamarlo.”
Nel mentre fu appiccato il fuoco all’edificio, le SS continuavano a formare un cordone lungo tutto il caseggiato. Szpilman rientrò nella sua stanza, che ormai era invasa dal fumo e dai vapori. Era persuaso della sua fine. Si sdraiò nel suo letto e ingoiò l’intero tubetto di sonniferi pensando alla fine che aveva fatto la sua famiglia. “Presi il tubetto di sonniferi[…]. Mi accinsi a bere l’oppio pur di avere la certezza di morire. Ma non ne ebbi il tempo. Il sonnifero aveva agito immediatamente sul mio stomaco vuoto. Mi addormentai.”