Szpilman
Wladislaw Szpilman - Vicenda

Fuori dal ghetto, clandestinità

La fuga era riuscita ma ora restava la fase più difficile, sopravvivere fuori dal ghetto. La coppia di amici, Andrzej e Janina, portarono Wladislaw in un loro appartamento vuoto. Qui c’era una branda dove Szpilman poteva riposarsi. Finalmente non doveva aver più paura delle percosse e poteva vivere con una minore pressione sulle spalle, la pressione della morte. L’appartamento era sfitto e la coppia annunciò a Wladislaw la necessità di trovare un inquilino per ovviare ai problemi dell’eminente censimento tedesco. Inquilini se ne presentavano tutti i giorni, per vedere i locali dell’appartamento e durante queste ispezioni, Wladislaw doveva rifugiarsi all’interno di una nicchia e chiudere la porta dall’interno.
Intanto i trasferimenti divenivano frequenti, inoltre bisognava nascondersi e essere pronti a ispezioni della Gestapo e ai censimenti, organizzati proprio per snidare eventuali ebrei che ancora si nascondevano a Varsavia.
Waldislaw veniva costantemente rifornito di cibo e vodka da Lewiki un amico che prese in custodia la vita di Wladislaw offrendogli un nuovo appartamento in cui vivere e offrendogli i rifornimenti di viveri. Lewiki faceva parte dell’organizzazione clandestina polacca.
Ma questa situazione non durò molto poiché la Gestapo era sulle sue tracce. Doveva abbandonare la città. Così fu incaricato un compagno di organizzazione, tale Szala di occuparsi di Szpilman.
“In realtà lui si dimostrò un protettore molto ambiguo: compariva ogni dieci giorni con una esigua quantità di provviste spiegando che non era riuscito a raggranellare il denaro sufficiente per acquistarne di più. Io gli davo ancora alcuni degli oggetti che ancora mi restavano, ma quasi sempre saltava fuori che gli erano stati rubati, e lui tornava a ripresentarsi con provviste appena sufficienti per due o tre giorni, anche se avvolte ero costretto a farle durare per due settimane.”
Wladislaw soffriva e quel poco cibo non lo sostentava ma era abbastanza per prolungargli l’agonia. Intanto gli venne l’iterizia e piano piano le scarse forze lo costrinsero a letto. Il suo corpo prese a gonfiarsi. “[…] quando insperabilmente si presentò la signora Malczewska.” Lei, il marito e Lewicki facevano parte dell’organizzazione clandestina ma erano stati costretti a fuggire da Varsavia e a nascondersi per via della caccia che davano loro la Gestapo e le SS. “Lei aveva creduto seriamente che io stessi benissimo ed era venuta lì solo per fare due chiacchiere e a bere una tazza di tè. Appresi così che Szala era andato in giro per tutta Varsavia a raccogliere denaro. E, dato che nessuno glielo aveva lesinato visto che c’era da salvare una vita umana, era riuscito a racimolare una grossa cifra in denaro. Aveva rassicurato i miei amici che veniva a trovarmi quasi tutti i giorni e che non mi mancava nulla.”
La signora Malczewska attonita e sorpresa della situazione corse a comprare una ricca provvista di cibo.
I giorni seguenti, il 12 agosto, a mezzogiorno mentre Szpilman si stava preparando la minestra, come quasi ogni giorno sentì qualcuno che cercò di entrare nell’appartamento. “Una donna gridava: Aprite subito questa porta o chiamiamo la polizia!” Szpilman fu costretto a raccogliere le sue cose e fuggire ma la donna gli sbarrò la strada. Chiedendogli che ci facesse in quell’appartamento e chiedendogli i documenti per verificare la sua razza. “Scostai la donna e mi precipitai giù per le scale. La udii urlare alle mie spalle. Chiudete il portone! Non fatelo uscire!.”
La custode non udì e Szpilman riuscì a fuggire dall’edificio.
Si ritrovò a vagare per ore per Varsavia in preda alla paura e all’angoscia di incontrare qualche tedesco. “Dove andare? Gli unici conoscenti che avevo nei pressi erano i Boldok che abitavano in via Narbutt. Ma ero così nervoso che non riuscivo a trovare la strada benché conoscessi bene il quartiere.”
Szpilman trovata la via giusta si recò all’appartamento dei Boldok ma esitò parecchio prima di suonare con la paura di non trovare riparo dietro quella porta. Decisosi la porta gli si aprì e i Boldok furono disponibili ad aiutarlo mettendogli a disposizione un appartamento sottostante del quale possedevano la casa. Alloggiò per quella notte in quell’appartamento. “Il mattino seguente si presentò il mio ex collega della radio, Zbigniew Jaworsk. Mi avrebbe fatto stare con lui per qualche giorno.”
Il 21 agosto, dopo aver passato l’ultima notte in casa Jaworski, benché tutti insistessero perché rimanesse, mentre la Gestapo si aggirava nelle vicinanze del quartiere, Wladislaw decise di trasferirsi in un palazzo ad Aleja Niepodleglosci. Quello sarebbe stato il suo ultimo nascondiglio prima della rivolta polacca e della totale distruzione di Varsavia. Era un appartamento spazioso da scapolo, al quarto piano. C’erano luce elettrica e gas, ma niente acqua. L’acqua veniva attinta a un rubinetto comune sul pianerottolo. Nell’appartamento attiguo a quello di Szpilman alloggiava una coppia attiva nel movimento clandestino, non erano quasi mai a casa. Negli altri caseggiati alloggiavano per lo più tedeschi e autorità militari naziste. Di fronte all’appartamento di Szpilman vi era un edificio non ancora ultimato e che veniva usato come ospedale per i feriti del fronte. “Questa volta ero capitato in uno dei quartieri di Varsavia dove si trovava il maggior numero di tedeschi, proprio nella tana del leone, il che forse avrebbe potuto renderlo un nascondiglio migliore e più sicuro.”
Melena Lewicka si occupò di lui per tutto il rest, della sua salute e della sua nutrizione.
Poi arrivò il 1944 e con esso le buone notizie. “Il 6 giugno del 1944 Helena Lewika venne a trovarmi nel pomeriggio. Era raggiante e mi portava la notizia che americani e inglesi erano sbarcati in Normandia, avevano spezzato la resistenza tedesca e stavano avanzando. Ora notizie sensazionali si susseguivano con frequenza sempre maggiore: la Francia era stata liberata, l’Italia si era arresa, l’Armata rossa era ai confini con la Polonia, Lublino era stata liberata. Le incursioni aeree dei russi erano sempre più vicine.[…]
Il 29 luglio Lewiki irruppe nell’appartamento a portarmi al notizia che la rivolta sarebbe scattata a Varsavia da un giorno all’altro.”

La resistenza polacca comprava armi con un ritmo affannoso. Il primo agosto 1944 Helena Lewicka comparve alle quattro del pomeriggio nell’appartamento di Szpilman per cercare di convincerlo a scendere in cantina visto che da li a un’ora sarebbe scoppiata la rivolta cittadina. Ma l’istinto fatalista di Waldislaw, tipico di tutta la sua famiglia, che gli salvò la vita in molte situazioni gli indicò di rimanere nel suo alloggio. Melena si congedò, allora in fretta da Wladislaw. “Con voce rotta chiese: Ci rivedremo ancora Wladek?”


Nonostante le rassicurazioni che Helena aveva dato a Szpilman secondo cui la rivolta di Varsavia sarebbe iniziata entro pochi minuti, alle cinque del pomeriggio, egli non riusciva a crederci. “Negli anni dell’occupazione erano di continuo circolate voci di eventi politici che non si erano mai verificati. Negli ultimi giorni l’evacuazione di Varsavia da parte dei tedeschi, cosa che io stesso avevo visto dalla mia finestra, e la fuga verso ovest di tutti quei soldati in preda al panico su camion e veicoli privati sovraccarichi, aveva subito una battuta d’arresto. E il rombo dell’artiglieria sovietica, che solo poche notti prima sembrava tanto vicina, ora si era fatto più indistinto e distante.”

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