Szpilman
Wladislaw Szpilman - Vicenda

Una possibilità di salvezza

Wladislaw si trovò solo, senza più nessuno per il ghetto semideserto e ingombro di valigie, mobilio e sporcizia. Era disperato ma per ora era salvo aveva la possibilità di continuare a lavorare e di continuare a vivere a Varsavia.
Passarono alcuni giorni. Era il 20 agosto, una bella e calda giornata d’estate quando per la prima volta, in file da quattro, i gruppi di lavoratori ebrei scortati da SS lasciavano il ghetto per lavorare all’esterno. Szpilman era uno di questi lavoratori.
In quei giorni di lavoro Szpilman incontrò, all’esterno degli amici. Un certo Blumenthal, un ebreo con tratti talmente ariani che non aveva bisogno di identificarsi per vivere all’esterno del ghetto, che gli diede dei soldi e gli offrì un aiuto per fuggire. Purtroppo ndò male, perché chi avrebbe dovuto prendersi cura di lui e ospitarlo nella propria casa aveva rifiutato. Aiutare un ebreo voleva dire essere condannati a morte.
Il lavoro proseguì, come le violenze e le paure e proseguirono gli incontri esterni. Una serie di innumerevoli traslochi e una serie di compiti costellarono la vita di Szpilman. Fino a che non fu assegnato ai magazzini per la consegna e la distribuzione del cibo ai lavoratori. Questo compito gli consentì di pensare alla sua più grande preoccupazione, conservare le mani per la fine della guerra, quando avrebbe dovuto riprendere a suonare il piano.
In quei giorni ripresero a circolare le voci di un’altra imminente e forse definitiva deportazione. La tensione cresceva nuovamente fintanto che i nazisti non si affrettarono a smentirla concedendo agli ebrei di nominare un loro membro di fiducia che avrebbe potuto recarsi ogni giorno in città per acquistare una forma di pane per ogni lavoratore e qualche patata.
Il gruppo di lavoro di Szpilman scelse Majorek, un ragazzo giovane e coraggioso, impegnato nella rete clandestina interna e a cui diedero nome Majorek cioè piccolo maggiore.
Majorek dal 1 gennaio del 1943 faceva regolarmente la spola tra ghetto e città per acquistare i sacchi di patate e procurarsi armi e munizioni da nascondervi dentro da portare all’interno del ghetto.
Erano così iniziate le operazioni di rifornimento della ZOB l’organizzazione clandestina di resistenza del ghetto. Organizzazione che farà poi scoppiare la famosa rivolta durata quasi un mese e che tenne sotto scacco i nazisti che faticarono parecchio a debellare i rivoltosi. I sacchi pieni di cibo e armi arrivavano al magazzino nel quale lavorava Szpilman. Le armi venivano trafugate per poi essere consegnate ai resistenti che si trovavano all’interno del ghetto.

La situazione per Wladislaw era insostenibile, la tensione, la fame, la paura e la fatica lo stavano consumando. Chiese così a Majorek di aiutarlo a fuggire dal ghetto mettendosi in contatto con una coppia di artisti con i quali aveva rapporti frequenti prima della guerra. Majorek riuscì a contattarli. I loro nomi erano Andrzej Bogucki, attore, e Janina Godlewska, cantante. La coppia, impegnata sul fronte della resistenza polacca esterna al ghetto, decise di aiutare Szpilman a fuggire.
Il giorno concordato per la fuga egli mise il suo capotto migliore e poco prima dell’orario prestabilito si tolse la fascia bianca dal braccio. Il giorno scelto fu un sabato alle cinque, giorno in cui un alto generale delle SS sarebbe dovuto venire per una ispezione. Gli organizzatori di questa fuga e Wladislaw speravano che il fatto avrebbe creato confusione e permesso una fuga più agevole. Le cose andarono veramente come stabilito, anche se la tensione fu altissima, sarebbe bastato un passo falso per assicurarsi la morte immediata.
Bogucki attendeva Szpilman furi dal cancello. “Non appena mi vide prese ad allontanarsi in fretta. Lo seguii a qualche passo di distanza con il bavero del capotto rialzato, cercando di non perderlo di vista nell’oscurità. Le strade erano deserte e solo illuminate fiocamente in ottemperanza ai regolamenti in vigore dall’inizio della guerra. Dovevo solo fare attenzionea non trovarmi davanti a un tedesco sotto la luce di un lampione dove costui avrebbe potuto facilmente vedere la mia faccia”.

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