Szpilman
Wladislaw Szpilman - Vicenda






La resa di Varsavia

Mercoledì 27 settembre 1939 Varsavia si arrese.
“Passarono altri due giorni prima che mi arrischiai ad arrivare in centro. Rientrai in preda a una profonda depressione: la città non esisteva più – o almeno questo pensai in quel momento nella mia sprovvedutezza.
Nowy Swiat era uno stretto vicolo che si snodava attraverso cumuli di macerie. A ogni angolo ero costretto a fare deviazioni attorno a barricate costruite da tram rovesciati e masselli del lastricato divelti. Cadaveri in decomposizione erano ammucchiati per le strade. La gente affamata per il lungo assedio si buttava sulle carogne dei cavalli che giacevano al suolo. Le rovine di molti edifici erano ancora fumanti.
Mi trovavo in Aleje Jerozolimskie quando si avvicinò una motocicletta proveniente dalla Vistola. In sella c’erano due soldati con uniformi verdi sconosciute ed elmetti d’acciaio.”

I primi due tedeschi che Wladislaw vide entrare in città. L’occupazione nazista di Varsavia era iniziata.
Nei giorni seguenti Wladislaw e la sua famiglia tornarono nel loro appartamento, al terzo piano di Via Sliska. L’avevano abbandonato, nei giorni dell’assedio, per sfuggire al crollo che minacciava i piani alti, più esposti al tiro dell’artiglieria. Scoprirono con loro grande stupore che era tutto come l’avevano lasciato. Tutto al suo posto. Cominciò la conta degli amici persi, quelli che fino a pochi giorni prima avevano visto vivi ora giacevano sotto le macerie.
I giorni passarono e piano piano ritornò una parvenza di normalità. “una comoda e solida poltrona, l’aspetto rassicurante della stufa rivestita in piastrelle bianche sulla quale posare lo sguardo, lo scricchiolio del legno dell’impiattito: un consolante preludio all’atmosfera di serenità e di tranquillità della casa. Papà fu il primo a riprendere la sua musica.”
I primi giorni di dicembre piombarono Varsavia di nuovo in un clima pesante: i tedeschi presero e fucilarono cento cittadini innocenti. Questo fu un punto di svolta cruciale, i nazisti iniziarono a porre i primi mattoni nella costruzione del muro d’odio tra tedeschi e polacchi.
In quello stesso periodo furono affissi i primi decreti contro la popolazione. I più importanti riguardavano il commercio del pane: “chiunque fosse stato colto nell’atto di acquistare o vendere il pane ad un prezzo più alto di quello dell’anteguerra sarebbe stato fucilato”. La famiglia Szpilman non mangiò più pane per giorni.
Presto iniziarono ad essere pubblicati decreti che riguardavano esclusivamente gli ebrei. “Una famiglia ebrea non poteva tenere in casa più di duemila zloty. Altri risparmi dovevano essere depositati in banca su un conto bloccato. Similmente, le proprietà immobiliari degli ebrei dovevano essere trasferite ai tedeschi.” Quasi ogni giorno nuovi decreti contro gli ebrei venivano promulgati. “All’apparenza di scarso rilevo, ci facevano però capire che i tedeschi non ci avevano dimenticato, ne avevano alcuna intenzione di farlo.” Fu proibito a cittadini di “razza ebrea” di viaggiare in treno, i biglietti del tram per un ebreo furono quadruplicati rispetto al prezzo per gli “ariani” e molto presto iniziarono a circolare le voci sulla costruzione di un ghetto.

Intanto a seguito dell’attacco nazista alla Polonia, l’Inghilterra e la Francia dichiararono guerra ad Hitler, ma in pochi mesi le notizie che arrivarono a Varsavia precipitarono nello sconforto la popolazione polacca ed in particolar modo gli ebrei. “Finalmente il 20 maggio un mio collega violinista venne a trovarmi nel primo pomeriggio. Dovevamo suonare insieme, ripassando una sonata di Beethoven che non eseguivamo più da qualche tempo e che entrambi amavamo molto. […] Eravamo allegri. I tedeschi erano sì alle porte di Parigi, ma nessuno se ne preoccupava troppo. In fin dei conti c’era la Marna: quella classica linea di difesa dove tutto si sarebbe bloccato […] Aspettavamo per iniziare solo Halina, che era scesa al negozio per fare una telefonata. Quando rientrò aveva un giornale in mano: un’edizione straordinaria. Due parole gigantesche in prima pagina, a caratteri cubitali, certamente quelli più grandi a disposizione dei tipografi: PARIGI CADE!”. Di li a poco altri due fatti incisero profondamente sullo stato d’animo della gente. Innanzitutto l’inizio dell’offensiva aerea contro l’Inghilterra. Quindi l’affissione di certi cartelli posti all’ingresso di alcune strade, quelle che poi sarebbero diventate parte del ghetto ebraico, e che invitavano la popolazione ad evitarle perché infestate dal tifo. Poco dopo vennero pubblicati articoli contro gli ebrei sull’unico giornale che i tedeschi pubblicavano a Varsavia in polacco: “non solo gli ebrei erano parassiti sociali, ma anche propagatori di malattie infettive. […] Il giornale proseguiva dicendo che i tedeschi appartenevano ad una razza troppo magnanima per confinare persino parassiti come gli ebrei in un ghetto, un’istituzione sopravvissuta al medioevo e indegna nel nuovo ordine europeo. Occorreva invece creare un quartiere a sé stante per gli ebrei della città […] Solo per esigenze igieniche quel quartiere sarebbe stato cinto da un muro affinché il tifo ed altre malattie ebraiche non si diffondessero in altre parti della città. Questa relazione umanitaria era corredata da una piantina che definiva i limiti precisi del ghetto”.

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