Forse come quasi una visione ciclica della storia tutto iniziò col Notturno in Do diesis di Chopin e tutto si concluse col Notturno in Do diesis di Chopin.
Dopo alcuni giorni dalla precedente disavventura, quando lo stomaco ormai era vuoto, Wladislaw decise di tornare fuori alla ricerca di cibo. Riuscì in un edificio a trovare una cucina. Al suo interno una dispensa con qualche sacchetto, qualche scatola e qualche scatoletta. “Dovevo controllare con cura il loro contenuto. Disfeci cordicelle e sollevai coperchi. Ero così assorto in quella mai ricerca da non badare assolutamente ad altro [..]” una voce, infatti, gli scosse i nervi. “Che diavolo ci fai qui?” Era un ufficiale tedesco, alto ed elegante, aveva le braccia conserte e si teneva appoggiato alla credenza.
“Che cosa ci fai qui? Ripetè. Non lo sai che l’Unità di comando della piazzaforte di Varsavia si insedierà in questo edificio da un momento all’altro?”
Wladislaw non ebbe la forza per scappare. Decise che se tutto doveva finire sarebbe dovuto essere in quella stanza. Così si accasciò sulla sedia vicino alla porta della dispensa.
L’ufficiale, quello che dopo si scoprì essere Wilm Hosenfeld, non aveva nessuna intenzione di fare del male a quell’uomo così gli fece delle domande sulla sua vita. Scoprì che Szpilman era un pianista. Chiese allora di suonare per lui. Lo condusse in una stanza dove c’era un piano e lo invitò a suonare senza temere per la sua vita. Szpilman durante tutti questi anni non suonò mai ma si esercitava continuamente all’uso della tastiera con la mente. Compiva sempre i gesti dui tasti, in quel pianoforte che mentalmente si era costruito. Per tutto questo tempo, passando dal ghetto ai rifugi, alle notti alla ricerca di cibo, fino ad ora egli si esercitava mentalmente a suonare.
Decise di suonare il Notturno in do diesis minore di Chopin. Quella musica conquistò l’ufficiale tedesco. Lo aiutò a nascondersi nel solaio dell’edificio e ripetutamente gli portava del cibo: pane e marmellata. Gli portava anche delle notizie sull’Armata rossa. Lo invitava a resistere pechè tutto sarebbe finito a breve.
Fu l’unico tedesco umano che incontrò Szpilman.
Varsavia sta per cadere nelle mani dei sovietici.
Qualche giorno dopo, Hosenfeld (Szpilman non sapeva ancora il suo nome), tornò con altro cibo. Egli si voleva congedare perché da li a poco la città sarebbe caduta e i tedeschi si sarebbero dovuti ritirare. I due si strinsero la mano, Hosenfeld gli regalò un capotto per ripararsi dal freddo e Szpilman in segno di riconoscenza gli rivelò il suo nome dicendogli “Se le accadesse qualcosa e io potessi in qualche modo aiutarla, si ricordi il mio nome: Szpilman, Radio polacca.”
Venne Natale e poi il novo anno, il 1945: “il sesto Natale, il sesto capodanno dall’inizio della guerra, i peggiori che avessi mai vissuto”.