Varsavia
Il Ghetto di Varsavia: Himmler ordina: "distruggete il Ghetto di Varsavia"

Lavoratori ebrei a Varsavia. Laboratorio metalmeccanico.
-foto d'epoca-

L'ordine di Himmler: "distruggete il Ghetto di Varsavia"

Quando Himmler ricevette la notizia che l'operazione da lui ordinata non era stata portata a termine per una inaspettata resistenza armata, andò su tutte le furie.
Il 1° febbraio scrisse una lettera dal tono piuttosto irritato al capo delle SS e della polizia di sicurezza Krüger. Tra le altre cose il Reichsführer scriveva:
"Per ragioni di sicurezza Le ordino di distruggere il ghetto di Varsavia dopo aver trasferito da là il campo di concentramento. Al tempo stesso tutte le parti di costruzioni e i materiali di ogni genere riutilizzabili devono venir preservati. La distruzione del ghetto e il trasferimento del campo di concentramento sono indispensabili perché altrimenti non riusciremmo a ridurre Varsavia alla calma e finché esisterà il ghetto sarà impossibile eliminare la criminalità. Un piano generale per la distruzione del ghetto dovrebbe venirmi sottoposto; in ogni caso, dobbiamo arrivare a una situazione in cui l'area residenziale, che consta attualmente di 50.000 Untermenschen e che è sempre stata poco conveniente per i tedeschi, sparirà e la città di Varsavia, col suo milione di abitanti, da sempre un centro di agitazione e di ribellione, dovrebbe ridursi di dimensioni".
Due erano le preoccupazioni di Himmler: salvare i macchinari delle fabbriche costruite nel Ghetto e trasferire i macchinari. L'Esercito tedesco infatti premeva affinché non si interrompessero le forniture di vestiti e di altro materiale che veniva fabbricato dal personale specializzato ebraico.
Sammern-Frankenegg non poteva permettersi un altro smacco come quello del 18 gennaio.
I nazisti si preoccuparono tra febbraio e marzo di tranquillizzare la situazione e di far sì che il maggior numero di lavoratori uscissero spontaneamente dal Ghetto.
Questa operazione di evacuazione di uomini e macchinari venne condotta con la collaborazione degli stessi imprenditori tedeschi.
Particolarmente Walter Többens che dirigeva il più grande laboratorio di tessuti si diede da fare. Cercò di convincere i suoi operai che l'unica salvezza era rappresentata dal trasferimento a Lublino.
Tuttavia i suoi sforzi non ebbero il successo che si attendeva: dei suoi milleseicento lavoratori se ne presentarono solo duecentottanta e di questi cinquanta scapparono prima di raggiungere la Umschlagplatz con l'aiuto degli uomini della ZOB. Dei tremilaseicento lavoratori della fabbrica di spazzole se ne presentarono una trentina.


Interno del dormitorio di un bunker.
-foto d'epoca-

La preoccupazione nazista di preservare gli stabilimenti e una parte del personale ebraico specializzato giocò a favore della ZOB. Gli uomini del movimento combattente accelerarono al massimo la loro disperata ricerca di armi e cercarono di darsi una strategia militare in grado di ridurre la sproporzione enorme che li divideva dalle SS. Era chiaro in primo luogo che non si poteva più essere colti di sorpresa come era accaduto la mattina del 18 gennaio.
Vennero istituite pattuglie di guardia tutt'intorno al perimetro del Ghetto per poter lanciare l'allarme in caso di irruzione. Si decise che si sarebbe evitato ad ogni costo il combattimento allo scoperto e si sarebbe preferita una tecnica di guerriglia. Febbraio e marzo e la prima parte dell'aprile 1943 furono il periodo di febbrile preparazione di ricerca di armi e di esplosivi.
Purtroppo le organizzazioni della resistenza polacca non furono in grado e spesso non vollero consegnare armi alla ZOB del cui potenziale bellico non si fidavano.
L'intera popolazione si impegno nella costruzione di un dedalo di rifugi sotterranei che spesso avevano le caratteristiche di veri e propri bunker destinati a mantenere gli abitanti in clandestinità per il maggior tempo possibile. Tutto ciò che la ZOB e la ZZW furono in grado di fare per resistere fu fatto. Alla vigilia della distruzione del Ghetto di Varsavia ogni combattente sapeva che non sarebbe uscito vivo dal Ghetto ma sapeva con altrettanta certezza che sarebbe morto con le armi in pugno.

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