Varsavia
Il Ghetto di Varsavia: Il movimento clandestino di resistenza (1939-1942)

I continui controlli di polizia a cui erano sottoposti gli abitanti del Ghetto, anche la polizia polacca era chiamata a collaborare -
-foto d'epoca-

Il movimento clandestino di resistenza

All'interno del ghetto si era formato assai presto un movimento di resistenza. Si trattava di una organizzazione eterogenea nella quale confluivano i diversi partiti e i movimenti giovanili che avevano caratterizzato la politica dell'ebraismo polacco. Il partito più attivo ed organizzato era il BUND. Di ispirazione socialista era il partito tradizionalmente riformista orientato ad una politica di integrazione tra ebraismo e società polacca.
I partiti e movimenti sionisti pur essendo minoritari erano molto attivi. Le organizzazioni sioniste più attive erano il DROR, l'Hashomer Hatzair, Gordonia e Akiva.
In queste organizzazioni erano confluiti i movimenti politici giovanili ebraici che diedero alla resistenza i combattenti più eroici: Mordechai Anielewicz, Yitzak Zuckermann, Zivia Lubetkin, Joseph Kaplan, Marek Edelman.
A partire dal 1940 il movimento clandestino si dedicò alla stampa di periodici di controinformazione, all'organizzazione di pubbliche assemblee. Può sembrare strano che tutta questa attività non venisse stroncata o ostacolata dai nazisti.
La presenza di spie nel ghetto sicuramente consentiva alla Gestapo di conoscere ciò che accadeva.
Occorre considerare che dal punto di vista nazista le attività clandestine erano pur sempre attività di subumani che non avevano alcuna seria importanza. La violenta reazione nazista si innescò soltanto quando le SS ebbero la sensazione che le organizzazioni clandestine ebraiche stessero cementando rapporti di collaborazione con la resistenza polacca esterna al ghetto. Allora con un raid apposito le SS eliminarono in modo mirato alcune personalità di spicco del movimento clandestino.
Benché il movimento spingesse la popolazione a disobbedire agli ordini dello Judenrat, a non presentarsi al lavoro o a sabotarlo non era stata ancora elaborata alcuna idea di resistenza armata.
Furono i cinquantadue giorni della grande deportazione che spinsero i movimenti clandestini a riflettere sul loro ruolo.
Nel suo diario, il 15 ottobre 1942, Emmanuel Ringelblum una delle anime della resistenza scrisse: "Perché non ci siamo opposti quando hanno cominciato a trasferire da Varsavia trecentomila ebrei? Perché ci siamo lasciati portare al macello come tante pecore? Perché per il nemico tutto è stato tanto facile? Perché i carnefici non hanno subito nessuna perdita? Come è potuto avvenire che cinquanta uomini delle SS (alcuni dicono che fossero ancora meno) con l'aiuto di un reparto di circa 200 guardie ucraine e altrettanti lettoni siano riusciti a condurre a termine l'operazione senza intralci?".


Un tedesco ed un poliziotto ebreo controllano uno degli ingressi del Ghetto.
-foto d'epoca-

A questo interrogativo di Ringelblum né lui stesso né i militanti seppero dare una risposta. Erano evidenti tutta una serie di problemi: una popolazione fisicamente e moralmente prostrata, l'autoinganno che portava a negare persino l'evidenza, l'illusione che potesse verificarsi un miracolo.
Occorre dire che lo stesso movimento clandestino non riuscì ad elaborare una strategia convincente di fronte alle deportazioni del luglio-settembre 1942. All'inizio della operazione di deportazione il movimento clandestino aveva tenuto una riunione segreta per decidere cosa fare.
Anche all'interno dell'organizzazione prevalse un atteggiamento passivo Alexander Zisha Friedman dell'organizzazione Hagudat Israel si dichiarò convinto che ci "sarebbe stato un miracolo" perché era convinto che "Dio non avrebbe permesso lo sterminio degli ebrei". Yitzhak Schiper disapprovò azioni di resistenza armata perché ciò - a suo dire - avrebbe provocato la distruzione del ghetto.
Ciò che Ringelblum non aveva compreso o che rifiutava di comprendere era che finché esisteva anche la più esile speranza di sopravvivenza nessuno l'avrebbe gettata al vento con una azione militare.
Sarebbe ingiusto dare una valutazione totalmente negativa dell'atteggiamento passivo tenuto dalla popolazione del ghetto. Occorre considerare che oggi, dopo sessanta anni, conosciamo le dimensioni della Shoah e nonostante ciò facciamo ancora fatica a comprendere. Coloro che vissero quei giorni e quegli anni non avevano neppure la capacità di concepire un progetto di sterminio così disumano da apparire al di là della immaginazione umana.

Torna all'indice