("Vie nuove",15 settembre 1971)

"La cosa si racconta in due parole: mia madre, mio fratello ed io eravamo sfollati da Bologna in Friuli, a Casarsa. Mio fratello continuava i suoi studi a Pordenone: faceva il liceo scientifico, aveva diciannove anni. Egli è subito entrato nella Resistenza. Io, poco più grande di lui, l'avevo convinto all'antifascismo più acceso, con la passione dei catecumeni, perché anch'io, ragazzo, ero soltanto da due anni venuto alla conoscenza che il mondo in cui ero cresciuto senza nessuna prospettiva era un mondo ridicolo e assurdo. Degli amici comunisti di Pordenone (io allora non avevo ancora letto Marx, ed ero liberale, con tendenza al partito d'azione) hanno portato con sé Guido ad una lotta attiva. Dopo pochi mesi egli è partito per la montagna, dove si combatteva. Un editto di Graziani, che lo chiamava alle armi, era stata la causa occasionale della sua partenza, la scusa davanti a mia madre. L'ho accompagnato al treno, con la sua valigietta, dov'era nascosta la rivoltella dentro un libro di poesie. Ci siamo abbracciati: era l'ultima volta che lo vedevo.

Sulle montagne, tra il Friuli e la Yugoslavia, Guido combatté a lungo, valorosamente, per alcuni mesi: egli si era arruolato nella divisione Osoppo, che operava nella zona della Venezia Giulia insieme alla divisione Garibaldi. Furono giorni terribili: mia madre sentiva che Guido non sarebbe tornato più. Cento volte egli avrebbe potuto cadere combattendo contro i fascisti e i tedeschi: perché era un ragazzo di una generosità che non ammetteva nessuna debolezza, nessun compromesso. Invece era destinato a morire in un modo più tragico ancora.
Lei sa che la Venezia Giulia è al confine tra l'Italia e la Yugoslavia: cosi', in quel periodo, la Yugoslavia tendeva ad annettersi l'intero territorio e non soltanto quello che, in realtà, le spettava. Mio fratello, pur iscritto al partito d'azione, pur intimamente socialista (è certo che oggi sarebbe stato al mio fianco), non poteva accettare che un territorio italiano, com'è il Friuli, potesse essere mira del nazionalismo yugoslavo. Si oppose, e lottò. Negli ultimi mesi, nei monti della Venezia Giulia la situazione era disperata, perché ognuno tra due fuochi. Come lei sa, la Resistenza yugoslava, ancor più che quella italiana, era comunista: sicché Guido venne a trovarsi come nemici gli uomini di Tito, tra i quali c'erano anche degli italiani, naturalmente le cui idee politiche egli in quel momento sostanzialmente condivideva, ma di cui non poteva condividere la politica immediata, nazionalistica.
Egli morì in un modo che non mi regge il cuore di raccontare: avrebbe potuto anche salvarsi, quel giorno: è morto per correre in aiuto del suo comandante e dei suoi compagni. Credo che non ci sia nessun comunista che possa disapprovare l'operato del partigiano Guido Pasolini. Io sono orgoglioso di lui, ed è il ricordo di lui, della sua generosità, della sua passione, che mi obbliga a seguire la strada che seguo. Che la sua morte sia avvenuta così, in una situazione complessa e apparentemente difficile da giudicare, non mi dà nessuna esitazione. Mi conferma soltanto nella convinzione che nulla è semplice, nulla avviene senza complicazioni e sofferenze: e che quello che conta soprattutto è la lucidità critica che distrugge le parole e le convenzioni, e va a fondo nella cose, dentro la loro segreta e inalienabile verita'".
(
Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere, Dialoghi 1960-1965, a cura di Giancarlo Ferretti, Editori Riuniti, Roma 1996. )